I miei figli stanno facendo le scuole esattamente quarant’anni dopo di me. Imparano molto meno di quello che alla loro età ho imparato io. Non è che sanno meno di me: sanno meno di quello che dovrebbero sapere per i loro tempi. Alle elementari io andavo a scuola quattro ore al giorno e in quelle quattro ore mi trasmettevano tutti gli strumenti che mi sarebbero serviti nel mondo in cui avrei dovuto vivere. I bambini di oggi vanno a scuola otto ore al giorno e non sanno “leggere e scrivere”, perché sono i nuovi analfabeti dell’era digitale: non gli insegnano, infatti, ad acquisire dimestichezza con gli strumenti tecnologicamente avanzati che a breve saranno costretti ad usare per sempre. Questa scuola “ottocentesca” non è nemmeno un asilo: è un parcheggio per bambini a cui vogliono negare il futuro.
Come vado dicendo dal primo lockdown, il futuro, del resto, è cyber. Il futuro non è il mattone. In Italia ci sono 25 milioni di edifici, di cui la metà costruiti negli ultimi quarant’anni. Non servono più le case, serve la digitalizzazione. Il mattone è immobilismo mafioso. La Politica avrebbe potuto approfittare dell’emergenza sanitaria per modernizzare il Paese, partendo dalla scuola, e investendo proprio nella scuola in tecnologia e contenuti, spingendo sulla nuova formazione e introducendo semmai banchi “digitali”, e non sostituendo banchi obsoleti con banchi inutili. Invece hanno fatto ancora una volta all-in sul mattone, e hanno condannato i nostri figli sui banchi dell’immobilismo. Questi politici che “tagliano” le poltrone non sono i paladini del risparmio contro lo spreco, ma sono i bulli della democrazia e la parodia delle camicie nere e dell’olio di ricino, che gettano ombre inquietanti su quello che (non) stanno combinando.
(Fotografia di Giammatteo Rona, ogni diritto riservato)